“GOD IS A DJ” PILLOLE DI HOUSE MUSIC RACCONTATE DA JOE T VANNELLI: GLI ANNI ’80

In quei primi anni Ottanta la moda apriva le porte alla stravaganza, agli abbinamenti inconsueti, ai calzini bianchi e al giubbotto con spal- line e borchie alla Michael Jackson nel videoclip di Thriller – quando presentai questo brano iconico su vhs, in anteprima con due televisori posti sulla pista dell’Afterdark, fu un evento senza precedenti: quella discoteca cittadina era all’avanguardia e aperta alle nuove tendenze – oppure ai capelli con la cresta stinti e ricolorati dei punk londinesi e al trucco alla Robert Smith dei Cure. Dilagavano inoltre i paninari, col giubbotto Moncler e le scarpe Timberland.

Il panorama musicale era popolato da un rock più basso e duro ri- spetto a quello degli anni Settanta, dal punk e post-punk e dall’utiliz- zo di strumenti elettronici e sintetizzatori. I miei idoli erano i Depeche Mode, i Simple Minds, i Talking Heads di David Byrne, Brian Eno padrino della No Wave della dance elettronica, ma anche Prince, estroso e underground, e Michael Jackson, re del pop con un taglio più commerciale.

In genere i brani erano molto ballabili, in linea con la leggerezza che la fine degli anni di piombo portava consé. Non dimenticherò mai quando misi per la prima volta in Italia la mitica French Kiss di Lil Louis. Feci
la storia della dance! Era arrivata da Amsterdam su unacassettina. Io la volli trasmettere subito, perché avevo capito che era fortissima. Tempo qualche nota e il pubblico me lo confermò lasciandosi andare a un entusiasmo clamoroso. Quando arrivò la promo ufficiale del disco, dopo otto mesi, mi comprai tutte le copie disponibili a Milano per farle sparire dal mercato.

Un altro brano simbolo fu Bamboléo dei Gipsy Kings, semplice e diverso da quanto suonato fino ad allora: fu il primo vero successo mondiale di un genere di nicchia strettamente legato al folklore iberico – il gipsy – che nell’estate del 1988 fece ballare tutta Europa. Avevo avuto l’anteprima da un amico di mia moglie e il mio orecchio ne aveva captato l’enorme potenziale. Quando lo suonai all’Afterdark per la prima volta, il pubblico gay impazzì. Poi ci fu Crystal Waters con Gipsy Woman, meglio conosciuta come Daladee da da: tirava talmente tanto che in una serata arrivai a metterla quattro volte.

Circondato dalla gioia e dall’affetto di chi aveva creduto nel mio talento, feci i miei primi esperimenti: capii che per miscelare facilmente due brani era indispensabile creare un break con un groove adeguato nel quale inserire la canzone successiva, e che sarebbe stato interessante modificare le canzoni originali per mixarle in discoteca.

Lo feci su Say Say Say di Michael Jackson e Paul McCartney. Per una mia esigenza personale inserii più groove ed effetti e, armato di una sana presunzione, andai a proporla alla casa discografica originale, la Emi. Mi risero dietro. Mi ero presentato con un nastrino in mano con la pretesa che me lo pubblicassero in tutto il mondo e senza i permessi dovuti. Solo se i diretti proprietari della canzone l’avessero commissionato, scoprii, avrei potuto intravedere quell’opportunità.